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riferimenti

Il metodo Canelli e la partecipazione

By 21/02/2024Marzo 5th, 2024No Comments

Un caro amico, in maniera provocatoria, da molto tempo, mi dice: “…Tu devi essere il sindaco di San Severo; anche io sono il Sindaco di San Severo; tutti dobbiamo essere il sindaco di San Severo…”.

 

Non ho compreso il senso di questa affermazione, almeno non subito.

Senonché, preparando l’incontro di presentazione del movimento Alternativa Civica, il sottotitolo “La Città che vorrei” mi ha rimandato al Venerabile don Felice Canelli ed in particolare ad alcuni articoli di cronaca pubblicati recentemente dalla Gazzetta di San Severo.

Don Felice, nostro illustre concittadino, nel corso della sua lunga vita si è speso per il bene e l’interesse della comunità non in modo astratto, ma concreto. Ma ciò che più intriga del suo modo di agire è che sembra operare secondo un metodo. Vi cito, per sommi capi, alcuni fatti di cronaca per provare a condividere un’idea.

 

    • Nell’ottobre del 1919, un manifesto cittadino annunciò l’istituzione di una tassa straordinaria sulle giacenze di vino, mettendo in difficoltà tutti i contadini e i viticultori perché il vino rimase invenduto con conseguenze drammatiche per l’economia del territorio. Allora don Felice, fondatore del Partito Popolare, scrisse un telegramma al Ministro dell’agricoltura dell’interno, chiedendo la diminuzione della tassa e la facilitazione della vendita del vino. Contemporaneamente anche l’on. Mucci, socialista, si recò a Roma con una rappresentanza di agricoltori per interessare il Governo al problema locale. Don Felice, però, non solo fece sentire la sua voce scrivendo al Ministro, ma spedì al socialista Mucci un telegramma di solidarietà, facendo notare che, nonostante le divergenze ideologiche, era possibile diventare un noi” per il bene comune.
    • Negli anni trenta, don Felice fu nominato dal sindaco dell’epoca segretario comunale dell’ “ONMI” – Opera Nazionale Maternità e Infanzia per l’assistenza alle madri e ai bambini che morivano di miseria e povertà. Don Felice subito dichiarò che l’opera doveva arrivare a tutti e si organizzò così: 1) divise la città in cinque zone operative di intervento; 2) distinse lassistenza in tre rami specifici: a. Ambulatorio pediatrico – b. Cultura pediatrica – c. Assistenza occasionale a madri e minori; 3)  chiese ai giovani dei Circoli Cattolici di raccogliere nelle macellerie un podi carne e nelle salumerie un podi formaggio, lardo e pomodori da donare ai bisognosi; 4) alle Dame di Carità chiese di recuperare il latte in polvere per le madri assistite dal dispensario; 5) radunò intorno all’opera i medici del territorio, coinvolse agricoltori, banche, responsabili di cinema, ecc.; 6) creò attorno a sé un movimento di uomini e donne che si dovevano far carico delle necessità dei più deboli e indifesi in virtù della comune appartenenza alla famiglia umana e in nome della loro fede più genuina.

 

Don Canelli promosse così la cultura della cura tirando fuori le migliori energie di cuore e di intelligenza nel bene di tanti, mentre li accostava alla vita dura dei più vulnerabili.

 

    • Negli anni 50 divenne sindaco l’onorevole Pelosi, noto comunista locale. Don Felice si rivolse all’amministrazione per l’asilo di Croce Santa che ospitava più di 200 bambini al giorno a cui assicurare il pranzo. Scriveva: “….Onorevole Signor Sindaco di San Severo, mi permetto di esporre alla S. V. ed a cotesta spett.ma Giunta quanto segue: in ottobre è stato riaperto questo Asilo Sacro Cuore” per duecento bambini. Orario di assistenza dalle 9 alle 16. Al mezzodì c’era questo grave inconveniente. Nessun aiuto in generi alimentari; nessun sussidio dagli Enti assistenziali; i bambini portavano per la refezione il panierino da casa, alcuni con pane e companatico, alcuni con solo pane, e qualcuno senza panierino e senza pane. A questi ultimi si dava il pane dalle Suore; ma era un inconveniente da eliminare. Ed allora senz’altro, confidando nella Provvidenza e nella comprensione generosa dei buoni, con novembre ho dato la refezione calda – uguale per tutti – ogni giorno. In dicembre continuo a darla. Gli aiuti dell’Ufficio Provinciale dell’A.A.I. [Amministrazione per gli Aiuti Internazionali] son venuti, e in parte, col 10 c.m., l’Ufficio Provinciale Maternità ed Infanzia comincerà a darci 10 lire a bimbo col 15 gennaio. Mi trovo quindi con debiti per la farina, per la pasta, per il condimento ecc. Mi rivolgo perciò alla S. V. Onorevole ed a codesta spett.ma Giunta e prego di concedermi un aiuto finan­ziario per questa mia situazione. Ho fiducia nella loro sensibilità per il bisogno dei piccoli di questo Asilo, particolarmente per la zona periferica a cui appartengono. Con devoti ossequi parroco Felice Canelli – responsabile dell’Asilo “Sacro Cuore”…”. Il Sindaco e la giunta comunista lo appoggiarono e non solo una volta e don Felice lodò i loro nobili sentimenti con una lettera in cui scrive «[…] in possesso delle centomila lire erogate dallAmministrazione Comunale a questo Asilo Sacro Cuore”, compio il dovere, a nome anche delle famiglie dei bimbi e del personale di assistenza, di ringraziare Lei, Onorevole, la Giunta Comunale e tutti i Consiglieri della generosa largizione. Provvedere allassistenza integrale dei piccoli figli del popolo è testimonianza squisita di giustizia e di carità sociale e si sente tanta gioia nel constatare la stretta solidarietà dei cuori a vantaggio dellinfanzia bisognosa»
    • Un’altra volta nel 1933, don Felice scrisse al Re Vittorio Emanuele III, chiedendogli un dono per una lotteria a favore dei poveri, in particolare per la costruzione di un ambiente dell’Asilo Trotta in cui le Figlie di Maria Ausiliatrice si prodigavano per l’educazione dei piccoli del ceto popolare. S. M. il Re, per risposta, gli mandò un magnifico orologio da tavola. In poche ore vennero venduti in città più di diecimila biglietti e lincasso superò le diecimila lire. Lorologio del Re fu vinto da una giovane ragazza indigente. Ma la vittoria del cuore e della bontà fu di tutti. È vero: l’orologio d’oro rese più luminosa una delle numerose case spoglie e fredde della città, ma la gioia di aver contribuito ad un futuro più bello per i piccoli del paese fu superiore ad ogni regalo reale.

 

* * *

Ebbene! Ripercorrendo le cronache locali di quel tempo che si intrecciano con la storia di don Felice, mi sono reso conto, che quest’uomo viveva nello sforzo quotidiano di compenetrarsi nei bisogni della sua gente e non si limitava a trovare risposte. Don Felice si lasciava interpellare dal grido dei più poveri e fragili del suo tempo senza restare in pura contemplazione estetica” dei problemi, ma si spingeva a trovare risposte, indicando il luogo della risposta”, perché non era sufficiente colmare una diseguaglianza, ma occorreva intessere, intorno al disagio o alla fragilità, una trama di relazioni virtuose senza distinzione di bandiera, in cui venivano coinvolti privati cittadini, associazioni ed anche le istituzioni a tutti i livelli.

Così ho capito: quando quel mio amico mi provoca e mi chiede di diventare come lui sindaco di questa Città intende dire che ciascuno di noi deve sentire il bene per tutti e di tutti, per accrescere lo sguardo responsabile ed imparare a camminare nella storia uomo accanto all’ uomo.

Per cui tutti noi, se veramente abbiamo a cuore le sorti di questa nostra città, dobbiamo uscire questa sera da questa sala con un’idea fissa: anch’io sarò sindaco di San Severo.

Michele Compagnone